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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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Della divinazione, II, 97
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originale
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97 Ex quo intellegitur plus terrarum situs quam lunae tactus ad nascendum valere. Nam quod aiunt quadringenta septuaginta milia annorum in periclitandis experiundisque pueris, quicumque essent nati, Babylonios posuisse, fallunt: si enim esset factitatum, non esset desitum; neminem autem habemus auctorem, qui id aut fieri dicat aut factum sciat.
Videsne, me non ea dicere, quae Carneades, sed ea, quae princeps Stoicorum Panaetius dixerit? Ego autem etiam haec requiro, omnesne, qui Cannensi pugna ceciderint, uno astro fuerint; exitus quidem omnium unus et idem fit. Quid? Qui ingenio atque animo singulares, num astro quoque uno? Quod enim tempus quo non innumerabiles nascuntur? At certe similis nemo Homeri.
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traduzione
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97 Da ci? si comprende che, riguardo alle nascite, le diverse localit? della terra valgono pi? dei contatti della luna. E quanto a ci? che si dice, che i babilonesi continuarono a osservare e a sperimentare tutti i bambini che via via nascevano per la durata di 470.000 anni, ? una menzogna: se lo avessero fatto davvero per tanto tempo, non avrebbero smesso. Non abbiamo, d'altronde, alcun testimone autorevole che ci assicuri che ci? venga fatto o sappia che sia stato fatto in passato.
Come vedi, non riferisco le argomentazioni di Carneade, ma quelle di Panezio, il pi? eminente degli stoici. Io, poi, domando anche se tutti quelli che caddero nella battaglia di Canne erano nati sotto la stessa costellazione: poich? certo ebbero tutti una morte uguale. E quelli che hanno in dote un ingegno e una virt? eccezionali, nascono anche loro sotto la stessa costellazione? Quale istante c'?, in cui non nascono innumerevoli bambini? Eppure nessuno di loro ? stato all'altezza di Omero.
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